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LÀ FUORI TRA LE COSE

In cammino verso una nuova didattica per l'urbanistica

articolo di Guido Benigni

Ne sono certo: tutti noi, almeno una volta, abbiamo affrontato la situazione in cui dover scegliere tra un comodo ascensore ed una ripida rampa di scale, o tra un passaggio in auto ed un “ma no, oggi mi va di camminare, non preoccuparti”… e per non parlare di quella volta in cui ci siamo arresi al fatto che il bus fosse troppo in ritardo e che la destinazione poteva essere raggiunta tranquillamente a piedi.

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Insomma, facendo i conti con la propria quotidianità, alla fine, ognuno di noi lo ha potuto confermare: muoversi con le proprie gambe per la gran parte delle volte è un investimento senza rischi, ed offre ottimi riscontri benefici per la propria salute ed il proprio portafoglio. Questo cambio di rotta nelle nostre abitudini rientra anche negli obiettivi di quella progettualità della cosiddetta “mobilità lenta” che da qualche decennio le amministrazioni pubbliche più lungimiranti stanno promuovendo in ogni modo. Ma è negli ultimi cinque anni che questo fenomeno ha preso il sopravvento: vuoi per una maggiore sensibilità ai temi ambientalisti, vuoi per il fatto che l’auto, da mezzo di trasporto di massa, è diventato invece sempre più proibitivo. In realtà quel gesto così semplice di muovere un piede dietro l’altro con una spinta che, dal tallone alle dita, fa avanzare il nostro corpo, era diventato in un passato recente la seconda opzione rispetto ad un utilizzo sconsiderato dell’auto.  Tuttavia oggi il camminare è tornato di moda; che poi, qualsiasi cosa viene erroneamente inserita nella questione delle mode, del cosiddetto “cool”, al passo con i tempi. Eppure credo- e so che mi darete ragione- che non ci sia cosa più “fuori moda” del camminare. 

 

Percorrere un pezzo di territorio a piedi -che sia il percorso dalla propria abitazione al luogo di lavoro, in altre situazioni di vita quotidiana, o anche un viaggio di scoperta- è oggi una scelta affatto scontata per alcuni semplici motivi. In primo luogo, questa elezione comporta una volontaria privazione di talune comodità del mondo contemporaneo affinché ci si possa ritrovare in una sorta di momentaneo riparo dal ritmo della nostra frenetica quotidianità. In secondo luogo, il cammino nutre un certo bisogno di avventura e di riconnessione con la natura: fattori insiti nell’uomo ma oppressi dall’ambiente urbano a cui siamo abituati. Nell’epoca del consumo e del predominio dell’iniziativa privata su quella pubblica, il cammino per alcuni versi assume un significato particolare, ovvero, quello che esprime una necessità non più rimandabile della dimensione umana dello spazio urbano riappropriandosi di una walkability (camminabilità) dei luoghi della comunità sempre più ristretti dalle sole esigenze di mercato. Facendo una breve digressione, con la crisi economica del 2008 e con quella odierna epidemica siamo tornati a considerare molte pratiche che erano rimaste nel dimenticatoio e con esse a riprenderci dei tempi più vicini al nostro ritmo fisiologico. Con le attuali esigenze di distanziamento sociale, nell’estate appena trascorsa, il cammino è stato oggetto di interesse da parte della domanda turistica diventando esso stesso “meta” di viaggio. Ciò ha finalmente dato avvio a quella forma di turismo “sostenibile” o “slow” che sta aprendo a nuovi orizzonti dal punto di vista socio-economico e culturale. 

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Dal 2016, anno dei cammini, ad oggi numerosi sono stati gli investimenti in questa direzione come numerosi sono stati i sentieri tornati alla luce grazie a studi di tracciamento e successive opere manutentive. Tra i primi ad aprire la strada su questo fronte è stato il progetto “Sentiero Italia” del Club Alpino Italiano con l’obiettivo di riscoprire, valorizzare e promuovere i 7000 km di tracciati escursionistici italiani. Su questa lunghezza d’onda sono nati altri importanti progetti che hanno creato un indotto culturale ed economico non indifferente. Affermo questo poiché la gran parte di questi percorsi attraversano i cosiddetti “territori di margine” (valli, zone montane e dorsali appenniniche che occupano più dei due terzi del territorio italiano e dove si concentra quasi un quarto della popolazione) regalando loro una nuova prospettiva in una chiave turistica non consumistica. 

A conferma di ciò cito una ricerca pubblicata di recente dalla fondazione Symbola Piccoli Comuni e cammini d’Italia, dove viene dato un dato molto rilevante: la rete di cammini italiani individuata attraversa 1435 comuni di cui ben il 66% sono di piccole dimensioni con oltre 2mila beni culturali e 179 produzioni DOP/IGP intercettate. Un ulteriore progetto molto interessante -in questo caso locale- è quello nato per la rigenerazione delle antiche mulattiere dell’Acquasantano, vicino Ascoli Piceno -afferente al Masterplan Terremoto della Fondazione Carisap-a cui le istituzioni ed alcuni attori locali di riferimento stanno lavorando restituendo alla popolazione dei percorsi tematici che rimettono in rete luoghi, antichi castelli, borghi, antichi mulini e le bellezze naturali e paesaggistiche. 

Tutte queste piccole realtà, scrigni di rara e disseminata bellezza, ammettono un solo accesso, ovvero, quello fatto “in punta di piedi”, con spirito di adattamento e una spiccata propensione all’ ascolto dei luoghi. Il cammino, a mio avviso, è l’unico veicolo possibile per questa tipo di esperienza. 

Dunque, il muoversi lentamente calibrando il proprio passo, permette di poter vivere appieno i luoghi attraversati durante un percorso a piedi. L’utilizzo del mezzo di trasporto, infatti, ridurrebbe lo sguardo del viaggiatore a quello di uno spettatore di fronte ad una pellicola: provocherebbe sicuramente delle suggestioni e delle impressioni di primo impatto ma non avverrà nessuna compenetrazione, alcun dialogo o crescita reciproca. La valorizzazione di tracciati e percorsi con i moventi dello sviluppo del turismo “slow” e della ricerca di un’esperienza fuori dalla norma -rendendo il cammino un vero e proprio “fenomeno virale” -ha eclissato tuttavia una possibile finalità non di poco conto: il cammino come potenziale mezzo di ricerca sul territorio e produttore di conoscenza sullo stesso. Quest’ambizione è stata quella che ha spinto tre studenti universitari ad ideare nel 2017 l’esperienza di viaSalaria con la volontà di approfondire il tema della ricostruzione post-sisma del Centro Italia. 

Quasi inconsapevolmente i 30 studenti e ricercatori partecipanti, attraversando gli oltre 300 km che uniscono San Benedetto del Tronto a Roma, hanno approntato un’innovativa esperienza didattica fuori dall’aula. ViaSalaria è stato anche un primo banco di prova per un metodo di conoscenza e di dialogo su questioni urbanistiche in cui i laboratori itineranti ed il sopralluogo ne sono stati componenti fondamentali. Questo esperimento riuscito —e sul quale hanno creduto numerose università ed attori locali— ha gettato le basi per quel che è poi divenuto il Laboratorio del Cammino, una rete inter-universitaria di studenti e ricercatori che sviluppa progetti di didattica innovativa volti ad esplorare le potenzialità metodologiche del camminare in urbanistica. Raccogliendo dunque l’eredità di viaSalaria, il Laboratorio ha proposto negli ultimi due anni iniziative di vario genere -quali workshop, pubblicazioni, seminari, mostre e camminate urbane- che hanno permesso di osservare e studiare il territorio attraverso il cammino ampliando di volta in volta le partnership che contribuiscono alla crescita del progetto. Di queste realtà ne fanno parte attualmente: otto università italiane (DIST/Politecnico di Torino, ABC e DASTU/Politecnico di Milano, DICAAR/Università degli Studi di Cagliari, SAAD/Università degli Studi di Camerino, DSLLC/Università degli Studi di Napoli L’Orientale, DARCH/Università degli Studi di Palermo, Università di Teramo e DICEM/Università degli Studi della Basilicata) ed un numeroso gruppo di associazioni e gruppi locali sparsi in tutta Italia. 

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È proprio di recente fattura infatti come è ormai di moda addentrarci nell’ennesima menzogna della memoria nostalgica del “era meglio una volta”: un confronto paradossale tra passato e futuro, in cui invece di pensare ad oltrepassare gli ostacoli e risolvere gli errori, si sviscera il racconto degli album fotografici di quello che è stato, fino ad arrivare a concretizzare nuove convinzioni in cui il passato sarà il nuovo futuro. Una presa di coscienza in voga, che spesso rasenta l’estremo, rifiutando il presente e forzando un ritorno al passato, per un evidente salto di coscienza, in cui si è perso quella memoria lineare della normale evoluzione. Certo perché lo sviluppo può anche essere dannoso e regressivo, ed è proprio la memoria il segreto nutriente per un costante avanzamento verso la completa coscienza. Ogni animale porta con sé pregi e difetti e l’uomo trova la sua arte proprio nel pensiero, in cui la mente si fa strumento della consapevolezza dell’esperienza ormai passata. Un atteggiamento normale e utile alla nostra sopravvivenza, che sta compensando la mancata formazione e le tradizioni ormai sbiadite. 

Ecco che una volta assimilato e riempito quel vuoto d’animo, potremmo risorgere grazie ad una nuova commistione tra futuro e storia.  Un nuovo tempo che mostrerà come l’arte sia la capacità dell’uomo di rompere i confini terreni, tramandando e comunicando nuove interpretazioni del tempo: un modo semplice di tentare il superamento della morte.

È importante evidenziare come, per una corretta navigazione, si abbia bisogno anche di revisioni di rotta, di rivisitazioni del sapere, di un ripasso di cosa si è fatto e di chi si è stato. È con esso infatti che si risveglia in noi il fascino della storia, della riscoperta di un estetica passata, che può scaturire un bisogno in cui l’unica soluzione è regredire. Una tendenza riecheggiante nella storia dell’umanità, individuata dagli studiosi come “RITORNANTI”: propensione ascrivibile spesso come antidoto rispetto alla paura del tempo, tramutata in tracce di futuro, poi proiettata nella concretezza della terra verso il territorio, nelle arti e mestieri. 

Ci sono diversi momenti nella storia in cui la nostra specie ha sentito questo bisogno di riscoperta, di riflessione, quasi come se avesse avuto il bisogno di ripassare e assimilare meglio alcune esperienze: rivedere la strada percorsa, tentando di ricominciare e reindirizzare il futuro. Siamo pronti, almeno sul lato analitico, a cavalcare la semplice voglia di immaginazione tipica dell’utopia, per imbarcarci in una nuova realtà, inscrivibile in una disciplina, in cui stiamo radicando i nostri sogni, i nostri gusti e le nostre necessità.

Insieme ai partner del progetto formativo, siamo riusciti negli ultimi tre anni ad organizzare delle Summer School che riprendessero le modalità di esperienza vissute in viaSalaria ma in territori differenti. Il metodo utilizzato è quello di individuare prima di tutto un transetto territoriale ed un tema che identifichi un fenomeno territoriale; successivamente un’indagine sul luogo attraverso il cammino e la restituzione critica degli elementi significativi raccolti. Per quest’ultime due fasi è previsto l’utilizzo di diverse tecniche di rappresentazione (quali la mappa, il disegno, la fotografia, lo storytelling, l’intervista, il soundscape) per narrare i luoghi, con le loro criticità e potenzialità, e per progettare nuove condizioni di abitabilità per le città e i territori. Il territorio ed i suoi attori locali, il fenomeno studiato, i ricercatori, gli studenti ed appassionati provenienti da tutta Italia sono stati gli elementi che si sono incontrati e contaminati in ogni tappa del cammino: ciò ha permesso uno scambio proficuo di esperienze e conoscenze che hanno determinato la base del prodotto di indagine sul territorio che i partecipanti hanno concluso e perfezionato a termine di ogni viaggio. 

 

Come naturale evoluzione del percorso fatto in viaSalaria e dei temi affrontati in loco, la successiva Summer School Sicilia Coast to Coast del 2018, ad esempio, è stata occasione per studiare le conseguenze di un altro tipo di catastrofe, maggiormente legata all’attività antropica e per di più doloso: l’incendio. Gli studenti ed i ricercatori hanno poi declinato questo topic nelle questioni della prevenzione e della gestione territoriale successiva alla catastrofe. La terza ed ultima esperienza di cammino in Sardegna nel 2019 dal titolo Sardinia Reloaded, ha riguardato invece il tema dello spopolamento nei territori di margine. Abbiamo camminato nelle zone dell’Ogliastra e del Cagliaritano dove l’emigrazione, la crisi del comparto minerario e l’isolamento infrastrutturale hanno comportato una diminuzione costante degli abitanti ed un continuo venire meno del presidio territoriale. La quarta edizione del 2020 in Piemonte, è stata rimandata all’anno prossimo a causa dell’emergenza epidemica. Un ultimo punto sul quale vorrei soffermarmi è la capacità di questo tipo di esperienze di innescare dibattiti all’interno dei contesti territoriali attraversati e con essi nuovi spunti progettuali. 

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Nell’esperienza del 2017, oltre al tema della catastrofe naturale, c’è stato modo di trattare anche quello della carenza infrastrutturale in uno degli incontri pubblici con la popolazione locale. In modo particolare, al centro della discussione con i cittadini di Antrodoco (RI) vi è stata la “Ferrovia dei due mari”, ovvero, la tratta San Benedetto del Tronto-Roma, un progetto risalente all’Unità d’Italia e realizzato solo in alcune sue parti. Con l’avvento dei mezzi di trasporto privati, è passato nel buio della memoria collettiva, fino a quando, con viaSalaria, è ritornato sotto i riflettori mediatici e al centro dell’agenda politica locale. Dall’apertura di una petizione on-line, all’organizzazione spontanea di alcuni cittadini in comitati, si è arrivati attualmente all’approvazione di uno studio di fattibilità dell’opera. I cammini hanno poi regalato ai partecipanti dei contatti diretti con gli abitanti in numerose occasioni: sia, durante dibattiti pubblici, sia durante incontri informali avvenuti casualmente. 

Alcune assemblee pubbliche molto accese, tra le quali mi preme ricordare quella avvenuta in occasione della Summer School siciliana, dove durante l’incontro nella città di Castelvetrano sul tema dell’abusivismo edilizio, si è aperto un dibattito tra i cittadini partecipanti e l’amministrazione commissariale riguardo la questione dei 45 manufatti edilizi abusivi in via di demolizione lungo il litorale di Triscina. In Sardegna, invece, nel confronto con gli amministratori, si è ampiamente discusso su di una possibile riorganizzazione territoriale dei comuni più piccoli in termini di fusione o di unione dei servizi per far fronte all’annoso problema dello spopolamento e dell’abbandono. La definizione dataci, quasi per gioco, di “pellegrini dell’urbanistica”, durante alcune occasioni di discussione tra noi membri del team del Laboratorio del Cammino, non è per nulla estranea al nostro trascorso; anzi, è proprio l’essere mossi dagli stessi propositi e da obiettivi comuni e la condivisione collettiva delle esperienze accumulate a far sì che venga poi ricostruita un’immagine coerente dei tratti distintivi delle città e dei territori attraversati. 

 

Camminare, inoltre, in questa sorta di pellegrinaggio-esplorazione, aiuta ad abbandonare l’idea che basti progettare e pianificare solo dalla vista zenitale o che un’aula di università sia sufficiente a fornire il giusto bagaglio di conoscenze ed esperienze. In questo lento incedere del passo, dunque, si ritrova il giusto tempo di osservazione dell’ordinario e dello straordinario in un’indagine con la “misura dell’uomo” ed uno sguardo dal basso sui territori: un ritorno a quel “là fuori”, tra le cose. 

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