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OVERSEAS ITALIAN ARCHITECTURE

La didattica come Social Media Content

articolo di Nicolas Spaccesi

Molto spesso siamo abituati ad etichettare i social come delle distrazioni o come il nostro svago giornaliero per sfuggire momentaneamente dalla realtà. Secondo molti esperti del settore la “presenza” in rete, non è più un concetto chiave ed è stata soppiantata dalla “connessione”. Quest’affermazione ci suggerisce che si è presenti sulla vita dei social grazie alla connessione, ma allo stesso tempo siamo assenti e disconnessi dalla vita reale che intanto ci scorre intorno. Tuttavia ci sono personaggi ben più noti come Umberto Eco, che durante una conferenza stampa con i giornalisti afferma:

 

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.»

 

Non si può affermare di non essere d’accordo con Eco. Molto spesso abbiamo a che fare con fake news e molto spesso ci ritroviamo contenuti spazzatura sulla home dei nostri social.

Tuttavia dobbiamo riconoscere che la sua è una visione - illustre sì, ma - che si sofferma solo sui lati negativi della rete, dando una visione unidirezionale nei confronti della democraticità dei social. Inoltre, penso che sia naturale per tutti dare una chiave di lettura diversa, più personale, da quella negativa esposta da Eco, che si attiene a delle metodologie che possiamo definire classiche e più accademiche. 

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Se ci soffermiamo a pensare cosa accade quando leggiamo un libro, un articolo o una qualsiasi lettura, sia essa anche di carattere divulgativo, ci stiamo isolando dalla realtà e ci immedesimiamo nella scenografia, variopinta o meno, che la lettura ci propone; analogamente come nel caso dei social ci ritroviamo in un ambiente fisico reale pur non vivendolo pienamente. Quando scegliamo il contenuto di una lettura, siamo noi a selezionarlo in base a ciò vogliamo approfondire, così come siamo noi a scegliere le pagine da seguire sui nostri social. Questo non significa che dobbiamo equiparare la lettura o lo studio all’uso di Facebook o Instagram e arrivare alla conclusione che sono dannosi per la nostra persona: sarebbe folle! Tuttavia, se iniziassimo a vedere i nostri social con uno sguardo diverso, potremmo accorgerci che c’è molto di più che una semplice ricerca di like, ma la potenzialità data da l’immediatezza dei post e delle storie che in pochi secondi trasmettono un messaggio con il resto degli utenti. Inoltre un altro aspetto importante sono i tag, che se usati con intelligenza, ci permettono di mappare il campo di appartenenza dei nostri contenuti. Queste sono le considerazioni che ho fatto, seppur inizialmente nel mio inconscio, durante l’esperienza, svolta come tutor didattico,  al laboratorio di disegno di architettura dello scorso anno. L’idea della pagina Instagram OIA, ovvero “Overseas Italian Architecture", nasce dalla volontà di mettere in mostra il lavoro che gli studenti del primo anno avevano portato a termine durante il corso. 

Insieme ai coordinatori, la professoressa Marta Magagnini e il professore Salvatore Santuccio, che hanno fin da subito condiviso l’idea di fare comunicazione dell’architettura su Instagram, abbiamo messo a punto un format, per far si che la ricerca svolta dai ragazzi non venisse meno e che i contenuti non fossero solo mera rappresentazione. Inizialmente mi sono chiesto come potevo fare divulgazione scientifica sui social e per farlo sono partito dalla definizione che P. Angela ha rilasciato per XXI secolo nel 2009: “tradurre dall’italiano all’italiano”. Di conseguenza ho cercato un punto d’incontro fra l’astruso linguaggio del disegno tecnico e quello più quotidiano e semplice di una persona non addetta ai lavori o comunque non esperta del settore dell’architettura. 

Fin da subito ho privilegiato l’uso di assonometrie, collage o modelli tridimensionali, piuttosto che le classiche piante e sezioni. Inoltre, per forzare questo tipo di rappresentazione, con l’aiuto di alcuni ragazzi del corso, ho iniziato a proporre dei fotomontaggi con dei “rimandi noti” che danno maggiore forza alla divulgazione del contenuto. Questo tipo di operazione mi permette di coinvolgere altre architetture appartenenti ad altri contesti oppure di calare il progetto in questione in uno scenario diverso da quello di appartenenza, come, ad esempio, affiancare la casa del fascio di Terragni a quella di Bosio a Tirana, oppure, far atterrare la Fiat Tagliero di Asmara nella piazza del popolo di Ascoli Piceno. Sicuramente non sono stato un pioniere in questo campo, in quanto, al di là degli influencer che sfruttano la loro immagine per la divulgazione sul web, anche altri esperti e ricercatori universitari stanno cercando di stabilire un punto di contatto fra la volatilità del mondo social e la metodologia della ricerca; facendo leva sull’immediatezza e la spontaneità di alcuni contenuti, che vengono divulgati a tutti gli utenti ed evitando di utilizzare un linguaggio di nicchia. Sulla scia di queste esperienze mi sono armato di buoni propositi ed ho intrapreso questa attività con la volontà di diffondere la conoscenza delle architetture delle ex colonie italiane.

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La pagina promuove da un lato la conoscenza dei progetti, ma allo stesso tempo anche il lavoro dei ragazzi, che hanno la possibilità di iniziare a crearsi un portfolio virtuale a portata di smartphone e di facile consultazione. Il tema didattico del corso, che è allo stesso tempo un tema di ricerca consolidato, si è trasformato nel tema della pagina, che si basa su materiali bibliografici e d’archivio; studiati e ridisegnati dai ragazzi. Uno degli obiettivi più importanti è quello di diffondere la conoscenza di queste architetture anche alle popolazioni delle ex colonie, che oggi sembrano non avere più memoria di queste esperienze, spesso a causa di violente guerre civili che hanno distrutto intere città e i relativi archivi che avrebbero potuto ricostruirla. Noi italiani, invece, conserviamo tanta parte di quella storia negli archivi degli stessi architetti, negli archivi dei fotografi o dei giornali, negli archivi degli istituti di credito o delle case popolari ecc. e possiamo quindi divulgare quello che studiamo. Solo con la diffusione si crea cultura. Quindi se siete su Instagram, vi invitiamo a seguirci e supportarci con hashtag e tag alla pagina “Overseas Italian Architecture”.

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