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TO BE S.R.L.

Francesco Paolo Russo

intervista a cura di MAGAZZINO

rubrica ALUMNI

Francesco è un ex studente della SAAD (in realtà ancora studia nella nostra scuola) che ha concluso il percorso di studi di laurea triennale in Scienza dell’Architettura nel …. . Attualmente iscritto alla laurea magistrale, abbiamo deciso di fargli le nostre, classiche, dieci domande come ex studente perché è già operativo nel mondo del lavoro. Ci ho parlato poche volte con lui, ma ho sempre seguito quello che fa e che ha fatto fino ad ora, e credo possa essere un esempio per chi durante gli studi, inizia a pensare - anche in grande - rispetto al proprio futuro.

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Ciao Francesco, come va?

Ciao, molto bene, grazie! Sono sicuro che con questa intervista mi farai ripercorrere varie tappe importanti della mia formazione e della mia storia.

 

Come prima cosa, ti chiedo di parlarmi della tua esperienza all’interno della nostra Scuola.

Inutile dire che l’esperienza alla “Scuola di Architettura e Design” di Ascoli Piceno è stata una delle esperienze che più ha segnato il mio percorso. Sono passato dall’università della grande città a un ambiente di formazione totalmente diverso, dove il vero valore aggiunto stava nel rapporto umano con i docenti. Ci tengo davvero tanto a nominare alcuni professori che sono stati molto più che professori per me: 

Marta Magagnini, che ho incontrato durante i primi mesi di università e che è stata in grado di illuminare la mia mente e, ancora oggi, il mio percorso insieme a Sandra Di Berardino, alla quale sono ancora legato da una bellissima amicizia. Emanuele Marcotullio, che mi ha fatto davvero comprendere la complessità dello spazio progettuale e del fare architettura, permettendomi di sviluppare un pensiero critico in merito. Mario Augusto Lolli Ghetti, una di quelle persone capaci di farti innamorare della cultura e del sapere. Federico Bellini, ricordo che per un certo periodo anche dopo aver sostenuto l’esame ascoltavo le sue lezioni in macchina al posto della radio per quanto erano belle. Luigi Coccia e Marco Dannuntiis, che hanno assecondato la mia visione e mi hanno dato la possibilità di lavorare e sperimentare nel mondo delle SmartCity che sono da sempre “il mio pallino”! Monica Rossi, che grazie al suo laboratorio ha fatto accrescere in me quella curiosità su come evoluzione tecnologica e architettura procedano di pari passo. Graziano Leoni, per aver provato in ogni modo a farmi comprendere la tecnica delle costruzioni ma che alle fine è stato in grado sicuramente di farmi capire l’approccio che fa “Stare in piedi le cose”.

Infine il professor Cristiano Toraldo di Francia, che purtroppo non ho avuto  modo di avere come docente in un intero corso ma che, fortunatamente, ho avuto la possibilità di conoscere grazie al suo voler stare sempre e comunque in mezzo agli studenti. Da lui ho ricevuto una splendida dedica che custodisco gelosamente “A Francesco Paolo, che sta individuando nuove strade digitali per i nuovi nomadi”. 

 

Quali sono gli insegnamenti accademici che consideri utili nel mondo reale - quello del lavoro - o che sono stati utili al tuo percorso professionale?

Studiare architettura è un qualcosa che consente di sviluppare una capacità di ragionamento che io definisco “eclettica”. Provo a spiegarmi meglio: il nostro percorso di studi ti porta ad confrontarti con materie come l’analisi matematica, la fisica tecnica, la scienza delle costruzioni  fino ad arrivare a quelle umanistiche come la storia dell’architettura, la sociologia urbana, le teorie del restauro. Tutto poi, tramite pensiero critico, diventa progetto. Credo che l’insegnamento più grande sia stato proprio questo, quel filo rosso che riusciva a tenere in piedi tutte le cose. Questa capacità di passare ad esempio dallo studio dei calcoli strutturali per tuffarsi, da un ora all’altra, nello studio delle teorie dell’architettura. 

 

Parlaci un po’ della tua start-up. Com’è nata, sviluppata, inserita nel mercato…

Ci occupiamo di LiFi - Trasmissione dati tramite luce LED, come se fosse un wifi ma tramite luce, una tecnologia veloce, sicura e sostenibile. Molti mi chiedono: “cosa c’entra con quello che hai studiato?” Bè, credo di avervi già parzialmente risposto a questa domanda,, ma vorrei fare un passo indietro. To Be è prima di tutto un sogno che è diventato realtà. Come dicevo poc’anzi ho sempre avuto il pallino delle SmartCity, sin dai primi mesi di università quando insieme ad un paio di amici  decisi di partecipare alla fiera SmartCity Exhibition a Bologna. Ho sempre avuto due  passioni che poi ho cercato di far convergere in un metodo progettuale: la progettazione dello spazio, sia esso urbano che architettonico; la tecnologia.

Alla base delle mia tesi triennale da un punto di vista teorico sostenevo proprio questo: 

Viviamo in uno spazio che è sempre più tecnologico. Spesso chi progetta solo tecnologia non riesce a comprendere a pieno quali sono le relazioni che, ad esempio, si creano con un ambiente e con una persona che si relaziona con un dispositivo tecnologico, spesso invisibile e quasi immateriale. Al contrario, un architetto talvolta non riesce a cogliere come la tecnologia possa influenzare l’evolversi della forma spaziale. 

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Lavorando alla convergenza di questi due mondi ho cominciato ad acquisire una maggior consapevolezza di come il digitale stesse davvero entrando nella vita di tutti i giorni. Un giorno decisi che, a pochi mesi dalla laurea, mentre lavoravo alla mia tesi, era giunto il momento di cominciare a condividere qualcuno di quei ragionamenti online. Un cinguettio, 140 caratteri mi aprirono un mondo.

 Quel tweet mi consentì di conoscere Paolo e Raniero, da Cagliari, che per mesi ho visto poi via skype lavorando alla costruzione di un progetto. Dopo qualche mese ci siamo trovati davanti la porta di una delle più grandi aziende italiane, il tempo di una stretta di mano e siamo entrati a presentare il nostro progetto d’impresa. Fu comico, entrammo un po’ ingenui un po’ timidi  davanti a “lorsignori illustrissimi manager”, i quali ci chiesero subito quanti dipendenti avevamo, che fatturato avevamo sviluppato sino a quel momento. Ebbi il coraggio di raccontare la verità allora Telecom Italia oggi TIM SpA , ossia che fisicamente c’eravamo conosciuti la prima volta 5 minuti prima di entrare in quell’ufficio. Si parlava di progetti per #EXPO2015, volevamo illuminare i padiglioni con la nostra tecnologia LiFi. Alla fine siamo riusciti a fare una piccola installazione LiFi, il nostro primo progetto. C’è voluto quasi un anno da quel momento per fondare poi To Be Srl, era il Marzo del 2016. Circa un anno dopo, quella stessa azienda che incontrammo all’inizio del nostro cammino, investì nel nostro progetto attraverso TIM WCAP. La bellezza delle soluzioni che abbiamo sviluppato sta proprio nel fatto che le applicazioni possibili sono molteplici. Vanno infatti dal mondo dei beni culturali, dove la stessa luce che illumina un'opera d’arte riesce a trasmettere contenuti multimediali in grado di arricchire l’esperienza al visitatore attraverso l'utilizzo del proprio smartphone ed una app. Allo stesso modo in ambito Retail la stessa soluzione consente di fare del marketing di prossimità trasmettendo offerte e informazioni al cliente di un negozio. Stiamo connettendo uffici, mezzi di trasporto, musei, scuole, industrie e a breve...città!

  

Quali sono le tue personalità di riferimento, tra architetti, designer, imprenditori...

Il primo è stato sicuramente Cristiano Toraldo di Francia, non credo ci sia da spiegare più di tanto il perché. Forse è stata proprio “colpa” sua se ho cominciato a pensare in grande. Carlo Ratti è ancora oggi uno dei miei principali riferimenti. Con lui l’espressione “smart city” che spesso riduce le città alla loro dimensione puramente tecnologica assume una nuova sfumatura:  Senseable City, quelle città che includono la componente umana e la racchiudono in un doppio significato: città sensibile e città capace di sentire, di rispondere. Modelli imprenditoriali ne potrei citare tanti, dal passato il modello olivettiano rimane ancora oggi attuale e fonte d’ispirazione per me. Leadership, vision, investimenti nel capitale umano e nei giovani ma soprattutto contaminazione dei saperi e ricerca della bellezza.

 

Come ti rapporti con il territorio?

Intendo a livello nazionale e con il contesto sociale che vivi.

Fare innovazione in Italia non è certamente facile ma si può. Sto aiutando diversi giovani a partire con il proprio progetto imprenditoriale, alcuni anche ex compagni universitari. Ho in programma diverse missioni all’estero, alcune le ho dovute purtroppo rimandare causa pandemia da Covid-19. Voglio andare fuori per imparare e per fare ancora meglio in Italia, investendo sul mio territorio e sulla nostra nazione.

 

Ci sono altre persone che ti hanno aiutato nella realizzazione di … ?

Non devo dire grazie a nessuno, nel senso che le uniche persone a cui devo dire grazie (e sono molte) sono persone delle quali sono riuscito con  il tempo a guadagnarmi fiducia e stima. La mia è la storia di un giovane imprenditore che è partito da solo, senza una lira, senza chiedere soldi a casa, senza chiedere favori a nessuno. Lo dico con pizzico di orgoglio e non vorrei sembrare presuntuoso ma spero che questo possa essere un bel messaggio da trasmettere ai nostri lettori: Non devi avere per forza soldi in tasca o essere figlio di imprenditori per fare impresa, anche in un paese come l’Italia dove le condizioni non sono certamente le migliori.

 

Quali sono gli obiettivi a lungo termine sia a livello personale, che a quello aziendale ?
Sono fermo ad un esame e mezzo dalla laurea magistrale, purtroppo da quando ho fondato To Be sono stato completamente assorbito dall’attività imprenditoriale che oggi mi vede alla guida di un gruppetto di 3 aziende. Spero però di potermi presto concedere un po’ di tempo per concludere il percorso universitario, non mi piace lasciare le cose a metà e, oltre ad essere una soddisfazione personale, mi sento debitore verso la mia famiglia che ha investito nella mia formazione. A livello aziendale siamo davanti ad un momento davvero importante, c’è un grande fermento e stiamo lavorando ad una delicata operazione di fundraising che ci consentirà di accelerare ulteriormente la nostra crescita.

 

Ti senti di dare qualche consiglio sul mondo del lavoro agli studenti che leggeranno questa intervista?

Amo chi osa sognare e chi ancora di più fa di tutto per realizzare i propri sogni. Perché il mondo è pieno di sognatori, ma pochi sono quelli a cui piace ancora di più provare a mettere le ali ai propri sogni.  La Scuola di Architettura e design UNICAM SAAD mi ha consentito di farlo, essendosi dimostrato un ambiente dove, anche in termini progettuali, era spesso premiato chi provava ad andare oltre. L’università DEVE essere a mio avviso quel luogo in cui è consentito, nei limiti del buon senso, osare per dare modo ai propri studenti di coltivare le proprie passioni e non limitarsi a fare “come si è sempre fatto”.

Ciao Francesco, ti ringraziamo e alla prossima.
Grazie a voi, questa meravigliosa intervista mi ha concesso di prendermi del tempo per me, cosa che spesso preso dal quotidianità mi manca, facendomi riflettere. Perché l’architetto è prima di tutto, come disse il Prof. Coccia il giorno all’apertura dei corsi, “un intellettuale”. 

 

La luce è come le idee, non si limita ad illuminare uno spazio, lo fa vivere.

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