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Originale Skin Head

INFLUENZE MUSICALI

Note digitalizzate

articolo di Benedetta Cinti

Non vi è alcun dubbio, almeno per me, che la musica costituisca una parte importante nelle nostre vite, soprattutto nei momenti più difficili la possiamo considerare una medicina. Possiamo avere una canzone che ci ricorda di un amore; una che ascoltiamo durante il viaggio; una che ci ricorda quando eravamo con degli amici e magari la cantavamo a squarciagola tutti insieme; una che fa riflettere, talvolta piangere; una con cui ci scateniamo ballando da soli in soggiorno; una che cantiamo sotto la doccia… Potrei continuare all’infinito nell’elencare le situazioni in cui una canzone ci fa provare un’emozione. Ora però vorrei che poneste la vostra attenzione su dei dettagli, già perché a volte, o forse fin troppo spesso, oggigiorno li diamo per scontati. Se vi va possiamo provare a scoprire qualcosa insieme sui modi in cui la musica si trasforma in antidoto.

 

Partiamo, ad esempio, da una canzone, quella che più ascoltate in questo momento, quella che “la ascolto a ripetizione finché non ne posso più”; pensate ora: come è successo che io sia arrivato ad ascoltare questa canzone? Il consiglio di un amico che magari ve l’ha condivisa attraverso un link?  Ho usato Shazam quando passava in radio in macchina? Per caso era il sottofondo di una cena in un pub? La colonna sonora di un film? Una playlist di Spotify o un video di pochi secondi su TikTok?... 

Non importa se sapete rispondere o meno con esattezza, quello che è importante è che se ce ne siamo accorti sembra piuttosto facile ascoltare nuova musica in questo mondo fortemente digitalizzato. Potete adesso passare dall’attenzione uditiva a quella visiva; la domanda successiva quindi potrebbe essere: vi siete soffermati a guardare la copertina dell’album? Magari è proprio questa che vi ha spinti ad ascoltare, tornando alla domanda precedente: c’è un dettaglio che sia riconducibile al messaggio che il cantante mi vuole trasmettere con la sua voce e le sue parole? Perché c’è questa immagine sulla copertina? Probabilmente qualcuno di voi l’avrà notato quel dettaglio che fa la differenza, si tratta di notare il contenitore e non solo il contenuto, oppure no e in questo caso consiglio semplicemente di cercare di rispondere ad una delle domande precedenti facendo una piccola ricerca. Potrebbe sorprendervi quello che c’è da scoprire in fatto di copertine di dischi. 

Con cosa riproducete la vostra canzone? Immagino lo smartphone il più delle volte o comunque questo collegato tramite cavo USB in auto come a fare da comando remoto per la riproduzione. Indossate gli auricolari wireless o usate una cassa portatile bluetooth? Vi siete mai accorti della differenza che c’è tra un dispositivo e l’altro per quanto riguarda la qualità del suono? Questo è certo, la differenza c’è eccome, ma ci avete mai fatto caso veramente?

Il cantante, nella persona e nel personaggio, ha ovviamente un suo stile, lo avrete visto nel videoclip pubblicato sul suo canale YouTube, o su qualche articolo/intervista, o ancora sul suo profilo Instagram… Ecco, guardarlo vi ha per caso influenzato nella scelta di qualche capo di abbigliamento o accessorio? Se provaste a riascoltare la stessa canzone per la milionesima volta tenendo a mente questa domanda, non vi si fissa in testa un’immagine di un certo stile associato a quel genere particolare di musica? Io credo che chi ama la musica, di qualsiasi genere si tratti, avrà fatto una scelta di stile in fatto di abbigliamento o, perché no, anche di acconciature almeno una volta nella vita. Proprio riguardo vestiti e accessori possiamo pensare anche solo al merchandising, la classica maglietta con il logo della band, e tutto quello che ne concerne. Questa scelta è dettata dal voler immergersi in quel tipo di cultura che si porta dietro quel suddetto genere musicale con tutte le influenze che ne derivano poi: riconoscersi tra ascoltatori dello stesso genere ed avere, per la maggior parte delle volte, la stessa filosofia di pensiero influenzata probabilmente dal contenuto del testo. 

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Skinhead, Skingirl.
Original Skin Head
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Le ragazze fotografate appartengono all'epoca degli skinhead, sottocultura giovanile che deriva da quella dei mods. Oltre alla minigonna, che veniva abbinata a delle calze a rete ed ha una storia a sé, indossano le celeberrime Dr. Marten's, originariamente ideate come scarpa da lavoro e con il rinforzo sulla punta in metallo. Negli anni successivi diventa scarpa ufficiale della cultura punk come vero simbolo underground. Rilanciate nei primi anni del 2000 come accessorio alernativo e arrivate nel 2020 come canone di stile ribelle che non tramonta mai. Le ragazze poi hanno il taglio chiamato "Chelsea", mentre gli uomini sono completamente rasati ed il loro abbigliamento prevedeva bretelle (ereditate dai rude boy, gli emigrati giamaicani e sostenitori della corrente dello ska e del reggae che contamineranno il rocksteady), camicia a scacchi, i blue jeans, il bomber solitamente in uso tra gli aviatori e la coppola.

A proposito dei testi delle canzoni, avete mai utilizzato un’espressione che vi è rimasta in mente dall’ascolto di una canzone? Ricordate la canzone se qualcun altro utilizza quell’espressione? Credo che ci sia un’influenza persino nel linguaggio, soprattutto oggi con i nuovi generi musicali. Le espressioni diventano parte di slang e modi di dire usati quotidianamente. Parole che diventano virali ed influenzano i comportamenti, le relazioni e più ampiamente un gruppo di persone, una società. E la durata? Quanto dura la vostra canzone? Secondo voi ha un ruolo importante nell’efficacia di far passare un messaggio?

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Rolling Stones, 1971 -WIKIPEDIA

Probabilmente la questione del linguaggio e della durata sono fortemente collegate, quell’espressione che iniziamo a ripetere anche nel parlato, tutto sommato, potrebbe inoltre essere il risultato della concentrazione di numerose parole in un tempo ristretto di esecuzione del pezzo musicale. Mi spiego meglio, sostanzialmente è un po’ come se i giovani che si occupano di musica oggi abbiano il bisogno di dire molte cose con una certa voracità del tempo, con estrema chiarezza e in maniera piuttosto diretta e l’ascoltatore citando quelle parole cerca di essere anch’esso chiaro e diretto nell’esprimere un concetto molto brevemente. Ora pensate a qualche decennio fa. Alle generazioni precedenti e a tutti i generi musicali che si sono susseguiti negli anni contaminandosi a vicenda e condizionando con una reazione a catena le sottoculture giovanili, quindi i modi e i costumi dell’epoca in cui si trovavano, arrivando anche attraverso manifestazioni al pensiero dell’intera società. Per fare qualche esempio: la Beat Generation, la Swinging London, gli Skinhead, i Mods, i Capelloni, i Punk, i Mettallari, etc… Fino a oggi con i Trapper, per l’appunto. 

 

Ovviamente i mezzi sono cambiati, dall’analogico siamo passati al digitale, dal vinile, poi la musicassetta e il walkman, il CD fino ad arrivare a Spotify e Soundcloud. La quantità della musica a nostra disposizione è addirittura aumentata esponenzialmente proprio perché anche la stessa produzione si è evoluta. La musica però con il suo essere virale nell’influenzare chi l’ascolta, ha definito molti stili spesso ribelli e molte identità culturali o sottoculturali giovanili. La musica sotto tutti i suoi aspetti, non solo quelli sonori, è comunicazione interculturale; il suono è ciò che unisce, include i sensi di una cultura e come tale può essere condiviso. La musica, che sia rock o trap, è e resta uno dei linguaggi più pervasivi del nostro tempo, è e resta virale nell’atto di influenzare la cultura giovanile. Alla fine possiamo affermare che in queste riflessioni musicali ritroviamo nella musica stessa, ricordando di considerarla in tutte le sue parti e non solo quella sonora, uno specchio dove la società si riflette e viceversa. A conclusione di questo pensiero logico vediamo che vengono alla luce i binomi società-musica e musica-società che si rincorrono nell’influenzarsi.

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Ah, un ultimissimo punto, lo lascio qui come uno stimolo per il futuro, o se volete come una provocazione: parliamo del gap generazionale. Sì, perché è evidente che ci sia anche a livello dei gusti musicali, non solo a livello di alfabetizzazione digitale. Se ascolti determinate canzoni o non ne conosci altre sei considerato vecchio, anche a ventisei anni, dagli adolescenti. Noto però che molte di quelle canzoni che fanno da colonna sonora ai video di TikTok sono remix, o cover dello stesso autore del video, di canzoni “vecchie”. E guardate che capita a tutti di non riconoscere subito l’originale ad orecchio, è capitato anche a me. Ma non fatevi ingannare, insomma alla fine dei conti, anche quando ci identifichiamo in una sottocultura giovanile (che sia punk o k-pop, genere che si è evoluto di pari passo appunto con la digitalizzazione degli ultimi anni) e vogliamo distinguerci dagli altri aggregandoci ad un determinato gruppo di persone, alla fine dei conti dicevo, la musica è universalmente una, anche quando non ci facciamo caso, anche quando i modi, i costumi, ciò che ci circonda e ci accade cambiano. 

 

Vi auguro che la musica resti sempre una parte fondamentale delle vostre vite e se non lo è ancora lasciatela entrare, nuova e vecchia senza pregiudizi, perché lei non ne ha.

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